La Sociologia non è solo ricerca e indagine ma anche una Sociologia che si applica, si trasforma, evolve in una sociologia “pratica”, in una sociologia “clinica” che, nel momento in cui diagnostica un problema sociale, ne avvia la soluzione.
1. Come si può usare la sociologia e cos’è la pratica sociologica?
Per usare la sociologia, occorre una pratica che si occupi del caso specifico, che si possa applicare a situazioni umane concrete. Che sia d’aiuto o sostegno agli attori singoli o collettivi nel superamento di crisi, per favorire il cambiamento, per conquistare delle condizioni di vita ottimali per l’auto-realizzazione e l’espressione della propria creatività.
In generale, per risolvere i propri problemi esistenziali, relazionali, organizzativi, di riconoscimento.
Come affermano Stephen S. Steele e Jammie Price nel loro Applied Sociology (2004), possiamo intendere la pratica sociologica come “qualsiasi uso (spesso centrato sul cliente) della prospettiva sociologica e/o dei suoi strumenti per la comprensione, per l’intervento e/o il miglioramento della vita sociale umana”.
La pratica sociologica si riferisce sia alla Sociologia Clinica sia alla Sociologia Applicata.
2. Che differenza c’è tra la sociologia applicata e la sociologia clinica?
“L’applicazione della conoscenza sociologica – teoria, metodi e tecniche incluse – è ciò che viene considerata pratica sociologica. Nel campo della pratica sociologica possono essere distinte due tipi di pratiche: quella clinica e quella applicata. La sociologia applicata si riferisce alla metodologia e include il modello di ricerca di problem solving, il modello di ricerca per la formulazione e l’analisi delle scelte, e il modello di ricerca della valutazione.
Il sociologo applicato è un ricercatore specializzato nella produzione di informazioni utili per dare risposta a delle questioni di interesse governativo, industriale e in altri contesti pratici.
Differente l’approccio della sociologia clinica il cui scopo è quello di applicare la prospettiva sociologica per facilitare il cambiamento” (Melodie Lehenerer, Professione Sociologo Clinico, 2018).
Anche la Sociologia Applicata ha degli scopi pratici che si intendono conseguire, però, prevalentemente per mezzo dell’attività di ricerca.
3. Qual è l’oggetto specifico della sociologia clinica?
“La sociologia clinica ci invita a prendere in considerazione la specificità umana e in particolare la presenza irreprensibile e irriducibile della soggettività. Essa presta particolare attenzione alle dimensioni individuali, personali, psichiche, affettive ed esistenziali delle relazioni sociali. Si propone di ripristinare l’oggetto corrente della sociologia stessa che, nel corso della sua storia, è stato a poco a poco respinto, espulso e nascosto e che è la relazione tra l’essere dell’uomo e l’essere della società, secondo la bella espressione dei usarono i membri del Collège de Sociologie nel 1937. Da qui l’attenzione ai processi socio-psicologici (…). C’è una domanda chiave su cui la sociologia non può cedere: quello del primato del sociale sullo psichismo o delle relazioni sociali sull’individuo” (Vincent de Gaulejac, Le fonti della vergogna, 2008).
“La sociologia clinica è un approccio ai problemi sociali che tende a privilegiare le situazioni costituenti fonte di disagio o sofferenza per soggetti sociali determinati, dedicando loro non solo uno sforzo di analisi e comprensione, ma anche quello di facilitarne il superamento. Perciò essa unisce a una dimensione scientifica (indispensabile perché si possa parlare di sociologia, ma anche per garantire affidabilità professionale) a una funzione di intervento sociale (…).
L’ipotesi di fondo è che il contributo più importante al superamento del disagio, che le scienze del comportamento (di cui fanno parte sia la sociologia che la psicologia) possano dare, è l’aiuto a mettere a fuoco i meccanismi, eventualmente perversi, di interazione fra i modelli culturali di cui sono portatori gli attori sociali coinvolti nella situazione problematica. E questo vale, al limite, anche quando tale situazione è vissuta da una sola persona, nella misura in cui questa si trovi a essere portatrice di modelli culturali in conflitto tra loro. Giacché i modelli culturali costituiscono un tipico oggetto di studio e di analisi da parte della sociologia” (Massimo Corsale, La sociologia clinica nel sistema dei servizi. Una proposta operativa, 2013).
4. Chi è il sociologo clinico?
“Il sociologo clinico è, prima di tutto, un agente del cambiamento che è immerso nel mondo sociale del suo cliente. I due approcci, quello della sociologia clinica e quello della sociologia applicata, possono però essere considerati come complementari a seconda del setting e delle situazioni” (Melodie Lehenerer, Professione Sociologo Clinico, 2018).
Jan Marie Fritz nel saggio “Including sociological practice” (2012) afferma che il sociologo clinico: “lavora con il sistema-cliente al fine di valutare la sua situazione e superare, ridurre o eliminare i problemi attraverso una combinazione di analisi ed intervento. L’analisi clinica è la valutazione critica di credenze, comportamenti o pratiche, con un primario interesse a migliorare una situazione ritenuta problematica. L’intervento si basa su analisi continue; esso può essere inteso come una creazione di nuovi sistemi e/o il cambiamento di quelli esistenti e può concentrarsi anche su attività di prevenzione o di promozione”
5. Come opera il sociologo clinico?
La sociologia clinica, come afferma Everardo Minardi, nel momento in cui diagnostica un problema umano (personale e collettivo), ne avvia la soluzione mediante la co-costruzione di un’ipotesi di lavoro – modificabile, adattabile per prove ed errori – ma con quella chance in più che consiste nella partecipazione del portatore d’interesse, del portatore di disagio, di colui che intende coinvolgersi nella soluzione di un problema.
6. Qual è la specificità della sociologia clinica nella gestione del disagio di un individuo?
“La specificità del contributo sociologico alla gestione del disagio, che lo rende altamente consigliabile in un’epoca di grandi trasformazioni come la nostra, consiste nella duplicità del terreno su cui esso si colloca: da un lato, l’aiuto al superamento del disagio specifico sottoposto all’attenzione del sociologo clinico; dall’altro, la messa in discussione delle ragioni di fondo del nostro sistema complessivo, e quindi delle fonti stesse del disagio. Il sociologo clinico però, che si colloca in una prospettiva micro – sociologica, e in particolare dall’angolo di visuale degli attori coinvolti nel disagio, ha gli strumenti per meglio difendersi dal rischio dell’ideologismo generico e inconcludente che ha caratterizzato tanta parte delle scienze sociali negli scorsi decenni” (Massimo Corsale, La sociologia clinica nel sistema dei servizi. Una proposta operativa, 2013).
a cura di Lorenzo Desirò