Un contributo della dott.ssa Laura Sossi, sociologa specialista – socioterapeuta

Giorni fa, ai funerali del sociologo prof. Domenico De Masi, durante le commemorazioni, il direttore del Fatto Quotidiano, dott. Marco Travaglio, elogiando lo scomparso, ad un certo punto, ha detto: “….Mimmo è l’unico sociologo di cui ho capito i ragionamenti sociologici, non ho mai capito nulla della sociologia…”

Se questo concetto è espresso da una persona informata, colta, figurarsi dall’uomo della strada!!!!

Noi sociologi, nell’immaginario collettivo considerati professionisti di serie B, cosa facciamo? Di cosa ci occupiamo? Boh….! Perché ancora questa non conoscenza del nostro sapere, della nostra professionalità, chi ne è responsabile?

Se chiedi all’uomo della strada cosa fa un commercialista, un avvocato, un fisioterapista, un chinesiologo, tanto per nominare una professione di recente rinomanza, tutti ti sanno rispondere. Se chiedi cosa fa un sociologo……bè, i più nicchieranno, altri tergiverseranno o molti, più sinceramente, diranno che non sanno, diranno “studia la società” e questo cosa vuol dire? Cosa vuol dire studiare la società? E dopo, che la ho studiata, analizzata, elaborata, cosa ne faccio? Professionalmente, a qualche sociologo gli si chiederà una relazione, a qualcuno un opinione, ma pochi considereranno il sociologo come professionista da cui si va per risolvere dei conflitti, interni ad un gruppo, ad una famiglia, ad un singolo con i suoi pari e così via.

Chi non ha saputo, negli anni che furono, instradare verso percorsi strutturati i vari giovani laureati che uscivano dalle facoltà di Sociologia con un grande bagaglio culturale, che avevano imparato ad osservare il mondo con altri occhi scevri da sovrastrutture e che poi si ritrovavano spaesati con questa ricchezza che non  sapevano come poterla al meglio mettere in pratica?

Tanti sociologi del passato, intellettuali, con dialettiche elaborate hanno portato avanti il loro sapere, a mio avviso, prevalentemente decantando sé stessi, come una mantide religiosa che uccide i suoi maschi per mantenere il proprio predominio.

Chi si è messo in gioco per cercare negli anni passati di strutturare la Sociologia in indirizzi che potessero permettere ai nuovi discenti di esercitare la professione di sociologo, non solo nel macro, dove fare delle relazioni o sovraintendere delle ricerche, ma anche nel micro, dove le conoscenze sociologiche acquisite, che danno al meglio la percezione di disagi, tensioni, conflitti, possono elaborare e risolvere tutta una serie di conflitti personali di origine sociale?

Perché nessuno dei nostri predecessori si è impegnato per dare visibilità e specificità alla professione di Sociologo, negli anni ’70-’80 questo sarebbe stato molto più facile di oggi, come hanno fatto gli Psicologi, ai quali bisogna riconoscere il merito di aver saputo agire in modo appropriato avendo considerazione dei loro professionisti, in questo mondo di counselors, motivatori e chi più ne ha più ne metta, peraltro professioni degnissime, ma, non con un background sociologico, ora però, a mio avviso, non possiamo esimerci da questo compito, per noi e per tutti i giovani laureati o laureandi che hanno fatto il percorso sociologico con aspirazioni di un futuro professionale specializzato nella società.

Ci sarebbero stati e ci sono tuttora, tanti rami su cui specializzarsi, sociologo della salute, sociologo dell’età evolutiva, sociologo del lavoro, sociologo dei conflitti familiari, ecc. ecc., se pensate che la Psicologia negli anni ad oggi ha dato il via, a circa 30 scuole di specializzazione, il che è tutto dire, perché non è stata data altrettanta attenzione nel sviluppare la nostra professione in vari campi in cui avremmo potuto dare dei grossi contributi?

Perché Luhmann, Faucoult, Parsons, ed altri pure attuali come V. de Gaulejac (fra l’altro di lui se volete leggere un suo libro lo trovate scritto in francese, le case editrici non si sprecano per tradurlo in italiano, il che ci dà la misura dell’importanza professionale che ci riconoscono) non hanno forse costruito le basi per poter elaborare dei percorsi da sviluppare onde risolvere disagi di origine sociale?!

La Psicologia negli anni si è appropriata di parte della Sociologia per istituire una materia come psicologia sociale, e nessuno è intervenuto. A suo tempo, ho sostenuto quell’esame all’Università, nulla ha a che vedere con le forme di organizzazione psichica date dall’ambiente sociale di appartenenza.

Quindi, a suo tempo è intervenuto qualcuno? Cari colleghi, NO non pervenuto!

L’unico che io sappia, dagli anni ’90 in poi che ha studiato ed elaborato dei concetti riguardanti le modalità di intervento su tali disagi è stato il prof. Leonardo Benvenuti, il quale ha dato a me e miei colleghi, soci fondatori dell’AISoD, e suoi ex discenti, un inquadramento strutturato per permetterci poi di continuare il cammino con queste basi per cercare di elaborare altri concetti provenienti da altri sociologi anche stranieri che hanno lavorato sui vari e determinati disagi di origine sociale.

Leonardo Benvenuti ci ha insegnato a “sporcarci le mani” a lavorare sul campo, ad affrontare e continuare a studiare i vari perché dei disagi di persone che si rivolgevano a noi per un aiuto. Quanto timore! Quanta paura di sbagliare, di non riuscire ad alleviare i problemi causati dalle loro rappresentazioni! Eppure quanta gioia nel vedere un miglioramento ed una uscita dal disagio di chi si rivolgeva fiducioso a noi! Questo ci ha stimolato ad andare avanti ed oggi più che mai noi soci dell’AISoD siamo convinti che con una giusta formazione si può costruire una o più strade, quindi con vari indirizzi, per dare visibilità alla professione del sociologo clinico e socioterapeuta.

A volte, alcune/i mie/i assistite/i parlando di me sbagliano, dicono la psicoterapeuta, io sottolineo all’infinito con un sorriso, che sono sociologa clinica e socioterapeuta, però già questo fa capire la poca conoscenza delle persone riguardo questa professione, nonostante io spieghi e rispieghi in cosa consiste il nostro percorso, che non si permettono di dirmelo, ma che per loro è inspiegabile, nebulosa.

Perché la Sociologia ancora oggi, vive in una vaga conoscenza da parte della nostra società italiana? E dico italiana poiché all’estero la nostra professione è riconosciuta ed apprezzata come parte determinante di un processo di risoluzione di disagi e conflitti di origine sociale pure nel micro.

Ancora oggi, i Tribunali italiani sono scettici, pur essendo la legge che lo prevede, nell’inserimento di sociologi nei CTU, non parliamo poi nei percorsi obbligatori per accedere alla sanità nazionale, sempre tramite il Tribunale, ad un percorso di consapevolezza nel cambio di genere, senza rendersi conto che la persona dopo aver accettato la sua diversità si trova a dover fare i conti con l’ambiente dove vive, dove lavora e lì chi meglio di un sociologo clinico, che appunto opera attraverso le forme di organizzazione psichica date dall’ambiente sociale di appartenenza, può comprendere ed aiutare nel consolidamento di una propria nuova ottica esistenziale. Non parliamo poi di molte assicurazioni private che nell’elenco delle professioni che riconoscono per risarcire i loro iscritti in eventuali percorsi di difficoltà emotive ecc., noi sociologi non ci siamo, non esistiamo e così via, l’elenco è lungo.

Howard T. Odum, un etologo americano degli anni ‘30 con dottorati in sociologia e psicologia di cui noi dell’AISoD abbiamo tratto ispirazione (anche di lui i libri sono in inglese, nessuna traduzione in italiano), diceva che i piccoli gruppi (lui si riferiva alla comunità di avvocati afro-americani nel Massachussets) sarebbero potuti emergere professionalmente rispetto alla maggioranza (bianchi) soltanto avendo una formazione culturale e professionale maggiore rispetto agli altri, noi Sociologi non siamo un piccoli gruppo ma per l’immaginario collettivo lo siamo, abbiamo una formazione universitaria adeguata e corposa, quindi spetta a noi, impostarci, decidere in quale campo sociologico specializzarci, costituire delle scuole di formazione, quindi offrire delle possibilità lavorative adeguate. Se combattiamo insieme ognuno per la sua strada prescelta attraverso le varie associazioni in cui siamo iscritti/e, lo potremo fare, ma, a mio avviso, dovremo essere determinati, non dispersivi, e soprattutto costruttivi e mirare a degli obiettivi prefissati, credo che così ce la potremo fare.

Mai come in questo tempo c’è la necessità per la nostra società della nostra professionalità, viviamo in un’epoca di grandi disequilibri, dovuti anche alla Società Puerocentrica sviluppatasi negli ultimi 30 anni (concetto elaborato a suo tempo dal prof. Benvenuti) che ha formato persone con la percezione del loro esistere e delle loro esigenze, ma non di quelle dell’altro ed allora, conflitti, bullismo, violenze, stupri e chi più ne ha più ne metta, chi meglio di un sociologo clinico – socioterapeuta, può affrontare, capire e cercare di inquadrare le varie situazioni su elencate, mettere in piedi dei percorsi di riequilibrazione e di consapevolezza per le persone, i giovani, le famiglie?

Chi meglio dei sociologi clinici può affrontare le origini e i perché  del bullismo?

Chi meglio dei sociologi clinici può affrontare le origini e i perchè del femminicidio?

Chi meglio dei sociologi clinici può affrontare i disagi esistenziali derivati da quest’epoca post pseudo pandemia?

I nostri due grandi  attrezzi: la teoria sociale e la metodologia della ricerca sociale

Ma, a mio avviso, prima di ogni cosa, dobbiamo spiegare, pubblicizzare, rispiegare fino alla nausea, cosa fa un sociologo, perché c’è questa professione, qual è il suo fine! Finchè le persone, gli enti, le strutture pubbliche e private non avranno coscienza di ciò, il percorso di riconoscimento dell’importanza nell’esercitare la nostra professione sarà presa sotto gamba, quindi personalmente, credo che, per prima cosa necessiti elaborare un progetto pubblicitario e divulgativo che faccia chiaramente capire alla società qual è la nostra formazione specifica, di cosa ci occupiamo.

In secondo luogo, secondo me, ogni associazione di sociologi, in base al proprio indirizzo prevalente, dovrebbe costruire un percorso di specializzazione in uno o forse due determinati indirizzi, da poter dare un’impronta specifica a chi suo associato propone la sua professionalità nella società.

Non è possibile che ad oggi per dare credibilità ai nostri corsi siamo dovuti ricorrere a FACCert. Ente di qualificazione accreditato da ACCREDIA che è l’unico ente riconosciuto dallo Stato Italiano, per carità ente degno di considerazione e serietà, in quanto richiedono documentazione dettagliata dei percorsi che si vogliono accreditare, come pure per altre professioni non organizzate, rispettabili certo, ma non con un background culturale e formativo come il nostro, dovrebbe essere il MIUR a riconoscerci non credete? Perché questo non avviene?

Ultima cosa: colgo l’occasione per fare i complimenti vivissimi al collega dott. Ferdinando Tramontano, Assessore Regione Campania, che per primo è riuscito a far inserire la nostra professione come determinante per il territorio dei servizi erogati dalla Regione. Potremmo seguire il suo esempio, ognuno nella propria Regione e quindi sarebbe già un passo avanti.

Complimenti vivissimi pure al collega dott. Saverio Proia che insieme al CD del SISS hanno sensibilizzato l’on. Ilaria Malavasi nel presentare un disegno di legge per il riconoscimento di un albo professionale.

Un cordiale saluto e augurio di proficuo futuro,

Ds. Laura Sossi
Sociologa specialista – Socioterapeuta

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