A cura di Francesca Rossetti
Mancato riconoscimento di professionalità, inaccessibilità a incarichi che sarebbero di pertinenza sociologica, difficoltà a ottenere un riconoscimento paritario con altre figure sociali, ecc…
Questi sono i temi principali che ricorrono nei consessi tra sociologi professionisti.
Ma siamo davvero sicuri che questi siano gli unici temi che un sociologo debba trattare?
Siamo davvero sicuri che la sociologia soffra delle medesime afflizioni in tutti i contesti in cui si esprime?
Sicuramente la sociologia ha molte e indubbie aree di debolezza, che si annidano soprattutto nell’ambito del pubblico impiego o, comunque, in quei contesti strutturati dove si rende necessario un inquadramento professionale che riesca a stare al passo con altre professioni più organizzate e culturalmente legittimate.
La buona notizia è che, recentemente, è stata presentata dal Ministro Malavasi una proposta di legge per l’istituzione dell’Ordine dei Sociologi.
Ecco il il link per visualizzare il testo.
È ormai indubbio che vi siano ambiti in cui la figura del Sociologo presenta molte criticità, tuttavia, vi sono anche aree di maggiore tutela e riconoscimento, soprattutto per quanto riguarda l’ambito privato nei suoi diversi gradi di strutturazione.
In questo caso la figura del Sociologo che, in virtù della legge 4/2013 rientra tra le professioni non regolamentate può contare anche sulla norma tecnica UNI11695:2017 che definisce i requisiti di competenza, abilità e conoscenza del Sociologo Professionista.
Ecco il link della legge 4/2013 per visualizzarne il testo.
Esistono poi Associazioni di Sociologi strutturate a tutela della professione: é il caso, per esempio, dell’A.S.I (Associazione Sociologi Italiani) (https://www.asi-sociology.com/), l’unica Associazione riconosciuta dal MIMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) come Associazione che rilascia l’attestato di qualità e di qualificazione professionale dei servizi prestati dai propri soci. Questa associazione garantisce ai propri soci iniziative di formazione, ha un codice deontologico e un listino prezzi con diversi range di prezzo, a garanzia del cliente e a tutela della professionalità del sociologo.
Assieme a questa importante e prestigiosa associazione, ne esistono altre, altrettanto strutturate e attive, alcune di esse hanno obiettivi sociali più generali, altre hanno sfere di competenza più specifiche. Tra di esse ricordiamo:
- AIS (Associazione italiana di sociologia), la più antica e strutturata tra le Associazioni Italiane, luogo imprescindibile di incontro tra sociologi accademici e sociologi professionisti
- ANS Associazione nazionale sociologi
- SOIS Società italiana di sociologia
- SISS Società italiana di sociologia della salute
- AIST Associazione Italiana Socioterapia
- Associazione Italiana di valutazione
- Associazione Italiana di sociologia dinamica
Riteniamo che questi siano gli ambiti privilegiati dove affrontare il tema del riconoscimento professionale, poiché si tratta di associazioni strutturate, che, tra i loro obiettivi associativi, annoverano proprio quello di offrire garanzie di identità e di riconoscimento professionale.
Resta poi l’ambito della libera professione, alla quale aderisco personalmente e all’interno della quale il sociologo può lavorare in modo creativo e sperimentale nell’ambito della ricerca-intervento, della divulgazione, della didattica, del cambiamento migliorativo, ecc. godendo di una creatività, di una dinamicità e di una libertà professionale, non facilmente applicabili all’interno di contesti strutturati, che gli permettono di mettere pienamente a frutto le proprie conoscenze e competenze. In questo caso, oltre a fare riferimento alle associazioni e alle norme suddette, gode di un riconoscimento fiscale che gli consente di lavorare nel pieno rispetto della propria professionalità avendo accesso, a fine carriera, al trattamento pensionistico, al pari di qualsiasi altro professionista.
Mi riferisco alla categoria fiscale 72.20.00: RICERCA E SVILUPPO SPERIMENTALE NEL CAMPO DELLE SCIENZE SOCIALI E UMANISTICHE che comprende studi sistematici e creativi intrapresi nel campo delle scienze sociali e umanistiche orientati ad arricchire il bagaglio di conoscenze esistenti e a migliorarne l’utilizzazione.
Come si può constatare, quindi, a fronte di aree di criticità, vi sono altre aree di maggiore tutela e riconoscimento; sicuramente la sociologia non è omogenea, forse a causa della mancanza di collaborazione tra i professionisti, ma forse perchè, come sostiene Baumann, la sociologia é una scienza della libertà, è una scienza, cioè, che apre orizzonti anzichè porre dei limiti.
Ritengo, pertanto che, mentre ci si continua a impegnare per il riconoscimento legale, utile soprattutto nei contesti del pubblico impiego, si potrebbe cominciare a spostare il focus su argomenti più costruttivi.
Credo che siano queste le prospettive da introdurre all’interno del LAB DI SOCIOLOGIA PRATICA APPLICATA CLINICA che, come il Professor Minardi ha ribadito più volte, non è una associazione, ma una rete di sociologi interessati a sviluppare conoscenze, competenze e abilità per fare un lavoro professionale di qualità, per fare diagnosi e risolvere problemi sociali che interessano a persone, gruppi, comunità.
E per fare questo occorre osservare con occhi nuovi e da nuove prospettive, dialogando anche con la sociologia accademica (perché è possibile farlo se siamo forti della nostra identità professionale- personale prima che “di categoria”-) e nella continua circolarità tra teoria e prassi.
Nel 2021 partecipai a un convegno promosso dall’A.I.S dedicato a Max Weber, all’interno del quale, l’allora Presidente Prof.ssa Agodi, dichiarò: “Quando parliamo di teoria sociale, ci rivolgiamo ai classici, forse perché non ci sono più grandi teorie sociali”. Ebbene, forse non saremo chiamati nella nostra vita professionale a elaborare grandi teorie sociali (o forse si!), ma sicuramente dovremmo tentare di mettere in discussione le nostre credenze depotenzianti (che rischiano troppo spesso di diventare profezie autoavveranti) riguardo alla sociologia e chiederci:
a partire dalle seguenti questioni:
- La sociologia è una scienza che si contende uno spazio all’interno di altre professioni sociali, oppure è qualcos’altro?
- Se fosse qualcos’altro, cos’è?
Nella mia carriera ormai ventennale, ho cominciato a pensare alla sociologia come a una prospettiva, a una modalità di osservare le cose dal punto di vista relazionale. La relazione è una realtà super partes che nasce dal reciproco riferimento e dal reciproco legame pur non riducendosi ad essi (per esempio: una famiglia è molto più che una convivenza tra persone sotto lo stesso tetto!), è quindi una realtà mutevole che procede dalla interazione tra i suoi componenti, ma assume una identità sua propria, una identità sempre cangiante che necessita di una osservazione davvero scientifica, non pregiudizievole, empatica e pronta a mettere da parte credenze ed etichettamenti. Solo uscendo dalla categorizzazione si può agire in assenza di conoscenza realizzando il primo e più importante presupposto di scientificità. E solo uscendo dalla tentazione categorizzante si può immaginare il cambiamento migliorativo. Per questo concordo con Baumann quando, nel suo omonimo testo, definisce la sociologia come la scienza della libertà, cioè una scienza che, assumendo prospettive nuove, può “uscire dal sistema”, e riprogettare spazi di convivenza più umani e creativi, recuperando quel reincantamento del mondo che lo stesso Weber, nei suoi scritti più tardi, auspicava per uscire dall’alienazione della modernità.
Da queste considerazioni, sorgono quindi le seguenti domande:
- Siamo davvero sicuri che se osservassimo la sociologia da altre prospettive, trarremmo vantaggio da etichettamenti e riconoscimenti?
- Siamo proprio sicuri che entrare nel sistema del riconoscimento giuridico, conquistiamo davvero qualcosa?
Francesca Rossetti