“Attivare la collettività per favorire il cambiamento: un compito del sociologo clinico”
ROMA-CINCINNATI, 13 novembre 2017 – La Prof.ssa JAN MARIE FRITZ, sociologa clinica e mediatrice sociale, instancabile viaggiatrice, insegna all’Università di Cincinnati in Ohio (U.S.A.) presso la School of Planning – Urban Studies Faculty ed è Visiting Professor presso il Centro di Ricerca sociologica dell’Università di Johannesburg in Sudafrica. Oltre alla Sociologia clinica, da anni i suoi interessi spaziano dagli women’s studies all’analisi e alla risoluzione dei conflitti, alla mediazione in generale. In qualità di rappresentante senior dell’I.S.A. ( l’International Sociological Association, ossia l’Associazione Internazionale di Sociologia strutturata in una molteplicità di R.C., abbreviazione che sta per Research Commitees ) presso l’O.N.U., si interessa da sempre degli sviluppi dei Piani nazionali d’Azione di attuazione della Risoluzione O.N.U. 1325 (Donne, Pace e Sicurezza) e, tra questi, anche quello italiano.
La Prof.ssa Fritz è Special Education Mediator dello Stato del Kentucky e membro del Comitato esecutivo della succitata I.S.A., Presidentessa della Divisione di Sociologia Clinica della stessa I.S.A. e consulente per diverse Università in tutto il mondo. E’ stata insignita di molti premi tra i quali il prestigioso Distinguished Career Award for the Practice of Sociology , nel 2010; l’ Ohio Mediation Association’s annual award – the Better World Award nel 2011; il Fulbright Distinguished Chair in Human Rights and International Studies nel 2011; e, non meno importante, il Distinguished Book Award for International Clinical Sociology. Tra le sue più recenti pubblicazioni ricordiamo Moving Toward a Just Peace: The Mediation Continuum (Springer, 2014) e con Jacques Rhéaume Community Intervention: Clinical Sociology Perspectives (Springer, 2014); mentre, per i nostri Quaderni di Sociologia Clinica, La Sociologia clinica è una sociologia pratica (n.2).
L’abbiamo raggiunta al telefono per chiederle della sua ultima esperienza romana…
Quaderni di Sociologia Clinica – Ciao Jan! Lo scorso mese eri a Roma presso la LinknCampus University. Qual buon vento ti ha portato?
Jan Marie Fritz – Sono molto felice di essere tornata a Roma. E’ passato davvero tanto tempo dall’ultima volta. Sono tornata nella vostra bellissima città per partecipare ai lavori della conferenza organizzata dal RC26 Sociotechnics-Sociological Practice dell’I.S.A., l’Associazione
Internazionale di Sociologia. Ero anche intenzionata a saperne di più sul vostro “Piano d’Azione Nazionale dell’Italia in attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1325 del 2000” . E’ stata, quindi, un’ottima occasione per incontrare i vostri funzionari incaricati della questione al Ministero degli Affari Esteri e di confrontarsi con alcuni responsabili delle Organizzazioni Non Governative italiane coinvolte sul tema.
QSC – Il Piano d’Azione Nazionale che hai menzionato mira a far avanzare l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza, sia a livello nazionale che internazionale. Cosa ti ha colpito dell’impegno dell’Italia su questi argomenti?
JMF – C’è dell’ottimo materiale di studio. Mi ha sorpreso il modo innovativo con cui il Ministero degli Affari Esteri italiano stia cercando di collaborare con le Organizzazioni Non Governative, in particolare, una nuova entusiasmante iniziativa che sicuramente avrà successo nel migliorare l’inclusione delle donne. Approfondirò sicuramente la conoscenza di quanto l’Italia sta facendo.
QSC – Il Link Campus University di Roma ha ospitato la Conferenza Internazionale promossa dal RC26 “Sociotechnics- Sociological Practice” dell’I.S.A.. Quali sono stati principali punti su cui si è incentrato il tuo contributo alla Conferenza?
JMF – Ho illustrato cosa sta succedendo nell’ambito del movimento Cities for CEDAW e, in particolare, ciò che ho cominciato io a Cincinnati, nell’Ohio. La CEDAW, acronimo che sta per Convention on the Elimination of all forms of Discriminations Against Women riassume l’impegno dell’O.N.U. volto a realizzare diffusamente la condizione di parità tra uomo e donna. Questo importante atto, spesso definito come la Carta Internazionale dei Diritti delle Donne, è stato adottato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite una quarantina d’anni fa, esattamente il 18 dicembre 1979. Con il suo preambolo e 30 articoli, vengono affrontati temi importanti quali l’accesso delle donne al sistema educativo e formativo, la tratta e lo sfruttamento sessuale, i diritti delle donne nella vita politica e pubblica, l’accesso all’assistenza sanitaria e il disagio delle donne nelle zone rurali, i diritti economici e sociali delle donne, l’eguaglianza nel matrimonio e, più in generale, nella vita familiare. Ovviamente, l’aspettativa principale è che le specifiche della Convenzione siano integrate in tutti gli ordinamenti degli Stati aderenti, affinché siano pienamente realizzati i diritti delle donne. Un piccolo numero di Stati membri non ha ancora ratificato la
Convenzione. Mi riferisco all’Iran, alla Somalia, al Sudan, al Regno di Tonga, alla Repubblica di Palau e agli stessi Stati Unit d’America. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la mia speranza è che il movimento sostenga, a partire da tutte le comunità cittadine, regionali, statali, e così via, l’eventuale ratifica della CEDAW . Ho così parlato della mia esperienza come attivatrice (corsivo nostro, N.d.T. ) a Cincinnati del movimento Cities for CEDAW e mi sono concentrata sugli ingredienti essenziali per un intervento sociologico-clinico efficace, almeno in questi casi: gli attori in gioco nella comunità, la volontà politica, la documentazione di base adeguata per sostenere il cambiamento come le ordinanze, le risoluzioni, ecc.; il tipo di lavoro a seconda del differente livello d’intervento; il monitoraggio condiviso sugli sforzi sostenuti da parte della comunità.
QSC – Siamo affascinati dal tuo grande entusiasmo. Alla luce della tua lunghissima
esperienza, pensi che sia giunto il momento di cominciare a parlare di una metodologia
dell’intervento sociologico?
JMF – Esatto, penso che i tempi ormai siano maturi per confrontarsi considerando gli sviluppi conseguiti in diversi ambiti di applicazione. Sarebbe davvero importante organizzare una conferenza o un workshop su questo argomento e, siccome la sociologica clinica si sta
sviluppando in molti Paesi ormai, sarebbe utile che non ci fossero ostacoli nella traduzione e condivisione di tutti i contributi che dovessero essere presentati. A tal riguardo, mi viene in mente una delle conferenze di maggior successo organizzata in Spagna alcuni anni fa: fu garantita la traduzione in ben tre lingue.
QSC – Sono trascorsi già dieci anni dalla bellissima esperienza che alcuni di noi hanno condiviso con te all’Università di Teramo. Sei stata uno dei docenti più apprezzati del Master di II livello in Sociologia Clinica, un’esperienza didattica e formativa unica e la prima che sia stata mai realizzata almeno nella formula di “Master”. Cosa è cambiato negli ultimi
dieci anni? Quali sono le sfide della Sociologia oggi, e in particolare della Sociologia clinica?
JMF – Ricordo certamente l’esperienza fatta a Teramo con il Master in Sociologia clinica. Da allora le cose sono molto cambiate e sono certamente da citare, tra le più importanti, le iniziative di Vincent de Gaulejac a Parigi, e quelle curriculari in Sudafrica grazie al duro lavoro di Tina Uys e dei suoi colleghi dell’Università di Johannesburg; per non parlare, poi, del lavoro instancabile di Micheal Fleischer nell’accreditare corsi formativi (negli Stati Uniti, così come a livello internazionale) in sociologia clinica/sociologia applicata/ public sociology impegnata nei diversi contesti d’intervento (si veda in www.capacs.net , N.d.R. ) e, per ultimo, certamente non meno importante, il lavoro di Melodye Lehnerer nello sviluppo di un sistema di certificazione individuale delle competenze da sociologo clinico (a tal riguardo si rinvia il lettore al sito http://www.aacsnet.net/certified-sociological-practitioners , N.d.R. ).
QSC – Puoi darci qualche notizia sulla Conferenza internazionale che si terrà a Toronto il prossimo anno?
JMF – Come già sapete l’I.S.A. terrà il suo Congresso mondiale il prossimo anno a Toronto in Canada, dal 15 al 21 luglio. Nell’ambito della Conferenza, il gruppo di sociologi clinici che fanno capo al RC46 faranno la loro riunione annuale e non è escluso che possa esserci un ulteriore riunione con i sociologi clinici canadesi. La riunione del RC46 è una meravigliosa opportunità di conoscenza e per stringere rapporti tra tutti i nostri membri a livello internazionale. Saremo felicissimi di accogliere tutti i sociologi clinici italiani che vorranno aderire al nostro gruppo.. Per maggiori informazioni sulla riunione, li invito a contattare la presidente Dr. Tina Uys ( tuys@uj.ac.za, mentre per N.d.R.), mentre riguardo alla Conferenza delle notizie sono già disponibili sul sito dell’I.S.A. ( http://www.isa-sociology.org/ , N.d.R. )
QSC – Grazie Jan, non ci resta che salutarti e augurarti buon lavoro!
JMF – Grazie a voi e “arrivederci” a Toronto!
(intervista e traduzione dall’inglese di Gianluca Piscitelli – (C), Copyright by Quaderni di Sociologia Clinica, 2017)