di Everardo Minardi
È stato certamente di rilevante interesse il seminario che si è tenuto il 23 e 24 maggio alla UniCattolica di Milano su “La sociologia relazionale alla prova”. Non solo per i sociologi intervenuti da ogni parte di Italia (anche se solo dalle istituzioni accademiche), ma anche per i temi affrontati sia sotto il profilo teorico che della ricerca sociale.
La prospettiva con cui si è riavviata la riflessione sulla sociologia relazionale è stata, quindi, centrata sulla relazione tra teoria e ricerca sociale; un nodo sempre presente all’interno anche di altri approcci più tradizionali della sociologia. Questa, anche nel nostro caso, cerca nella attività di ricerca di individuare le condizioni per avvalorare e confermare le caratteristiche specifiche e innovative del paradigma relazionale, capace di superare – se non di escludere – le tradizionali rappresentazioni che la sociologia dei due secoli passati ha applicato per la conoscenza delle strutture e delle dinamiche della organizzazione sociale.
Nella necessaria distinzione tra la sociologia, in quanto relazionale, e le altre scienze sociali (dalla filosofia, alla psicologia, all’economia ed alla politologia), si presentano come significative le sottolineature, nel nuovo paradigma, della generatività sociale (M.Magatti), della riflessività nelle interazioni (G.Frazzica) che si manifesta secondo singolarità proprie nelle espressioni della vita sociale (dalla coppia, alla famiglia, alle associazioni) non semplicemente ricondotte alla logica propria delle istituzioni.
La visione relazionale della vita sociale nelle sue diverse espressioni generative conduce a rileggere il processo di formazione delle relazioni, delle pratiche e delle regole sociali (D.Ruggieri), in quanto rende possibile una maggiore comprensione di quel processo che porta alla formazione del capitale sociale famigliare e lavorativo (S.Mazzucchelli), nonché delle dinamiche sociali che si esprimono nelle migrazioni e negli esiti sociali che esse producono, in un contesto non di esclusione, ma di accoglienza, integrazione ed, infine, di inclusione sociale.
L’approccio della sociologia relazionale non è privo di altre significative aperture, come la osservazione e l’analisi di altre manifestazioni sociali che nascono dall’effetto generativo delle relazioni: l’esperienza educativa e formativa, anche in campo artistico e musicale (P.Bellini), la gestione e l’organizzazione dei servizi di Welfare sociale (C.Panciroli) e sanitario (C.Guarino); senza dimenticare anche i riflessi che si vengono a produrre nella gestione delle attività di impresa, dove la responsabilità sociale trova la sua piena e motivata giustificazione (S.Scarcella).
L’innovazione, quindi, apportata dalla sociologia relazionale la si può cogliere in ambiti significativi e con esiti conoscitivi teorici e metodologici certamente di interesse.
Ci sembra necessario però mettere in evidenza come la novità di tale approccio si limita e si riduce, a nostro avviso, ad una dimensione ancora teorica della sociologia; questa da scienza degli oggetti sociali e del funzionamento delle norme e istituzioni sociali diventa scienza delle pratiche sociali, delle regole, delle istituzioni e delle organizzazioni sociali che nascono dalle relazioni sociali; queste viste non in termini particolaristici ed autosufficienti, ma all’interno di sistemi di relazioni sociali di progressiva composizione e complessità.
Ciò per il sociologo che lavora sul campo (on the road) è una tappa importante, perché in un certo senso ci si libera dal pesante patrimonio, non sempre utilizzabile, della sociologia accademica, non sempre orientata alla comprensione, alla diagnosi ed alla risoluzione dei social problems, che non solo attraversano, ma in un certo senso fanno la società.
Tale tappa però va superata in direzione di un sapere sociale che consenta di orientare, strutturare, anche in termini pratici e tecnici, le azioni che il sociologo si trova nella condizione di mettere in atto per affrontare, diagnosticare (setting) e risolvere (solving) i problemi sociali; in altri termini, le situazioni che producono disagi psicologici e sociali, conflitti relazionali (nelle coppie, nelle famiglie, nelle relazioni educative dentro e fuori le famiglie), nei luoghi di lavoro, nel confronto sociale e politico a cui le persone, i gruppi sociali e le organizzazioni anche economiche sono quotidianamente esposte.
Quindi, la svolta paradigmatica della sociologia relazionale è importante, decisiva, ma va tradotta in un sapere pratico, consapevole, strutturato e finalizzato che metta il sociologo non solo nella condizione di fare lo scienziato sociale o il ricercatore sociale, ma l’attore di un processo di ricerca-azione dove il lavoro del sociologo sia partecipe del processo di quel cambiamento sociale che porta alla risoluzione del problema o di parte dello stesso.
Al significativo seminario milanese in un certo senso è mancato un passo in avanti ulteriore, o secondo alcuni, un capitolo di riflessioni e di contributi che potevano essere riportati non dai ricercatori universitari, ma da quei sociologi on the road che quotidianamente si trovano coinvolti in problemi per la cui diagnosi e risoluzione non sono più sufficienti i metodi e le tecniche della ricerca sociale (anche nelle sue versioni più evolute e flessibili, come la visual sociology).
Senza entrare nel merito di elaborazioni e posizioni che nella sociologia relazionale già si possono identificare (a partire dai contributi importanti di G. Donati), occorre sollecitare ulteriori sviluppi di tale approccio (una revisione realistica e positiva della tradizione sociologica, non più recepibile come tale) che porti questa visione teorica e metodologica in un rapporto più esplicito e costruttivo con quei percorsi e quelle elaborazioni che oggi si possono riconoscere nei diversi indirizzi ed esperienze che (a partire dal contesto francese, per giungere a quello nord e sud americano), hanno sviluppato approcci di sociologia applicata, pratica e clinica.
Il nostro auspicio è che si apra presto un dialogo e un confronto tra chi persegue il percorso innovativo della sociologia relazionale (e scuole universitarie anche in Italia sembrano ormai configurarsi) e gruppi di sociologi sul campo, spesso non riconosciuti professionalmente, che producono conoscenze pratiche, sviluppano metodi applicati di cambiamento sociale; e va sottolineato che ciò avviene sempre a partire non dalle dimensioni macro sociali, ma da quelle micro, dove le relazioni sociali sono la risorsa generativa dei processi sociali.