di Barbara M.V. Lattanzi
Combattiamo ormai da quasi un anno contro un piccolo, invisibile nemico. Combattiamo contro la paura e la noia di stare chiusi e lavorare spesso in casa. Molti di noi si sono imbattuti in situazioni sanitarie o conoscono persone colpite. Di recente la nostra comunità è stata scossa dalla terribile notizia della perdita di un giovane, brillante collega a causa di questa terribile pandemia di Covid.
Le mie esperienze con questo virus sono iniziate mesi fa, quando la mia regione era relativamente illesa, solo pochi sporadici focolai, decreti che ci chiudevano in casa e brutte notizie da regioni lontane, del nord. Lavorando a distanza le convocazioni dei beneficiari erano (e spesso sono ancora) telefoniche.
Un beneficiario rispose alla chiamata con voce strana, fioca, un po’ impastata. Alle mie domande replicava lentamente, prendendo fiato molto spesso, tanto da rendere il colloquio difficile. Alla domanda se fosse disabile rispose no, e dichiarò di stare bene. Iniziai a spiegare la condizionalità chiedendo di nuovo quale fossero le sue condizioni e il suo stato di salute e dopo un po’ ammise di essere positivo al Covid, insistendo però a dichiararsi guarito e di voler essere subito inserito in un percorso di ricerca di lavoro. Ma erano sempre più evidenti i problemi respiratori e non mi fidavo delle sue affermazioni sul prossimo tampone.
Mesi più tardi, nel corso delle attività di consulenza per aziende e piani assunzionali, sono stata frenata da un altro episodio: un imprenditore in isolamento fiduciario, poi risultato positivo al tampone.
A causa dell’impatto della pandemia e delle normative per il contenimento, abbiamo dovuto elaborare nuove strategie, cercando di capire quali sono i settori merceologici meno colpiti dalla situazione. Ore passate ad ascoltare la delusione dei datori di lavoro costretti a chiedere la cassa integrazione per i dipendenti, l’ansia delle attività turistiche, scoprendo spesso che aziende attive il mese prima erano ora in liquidazione: tutto ciò spinge quasi naturalmente a trovare una strada, a individuare i soggetti ancora produttivi a cui offrire i nostri servizi professionali.
Una di queste aziende rispose subito alla mia mail e, dopo un primo momento di sospetto a causa di brutte esperienze con agenzie private del lavoro, mi mise in contatto con una gentile segretaria. Gentilissima e professionale, mi rispose una ragazza con voce giovane e simpatica, con cui mi sono sentita subito in sintonia. Procedendo alla consulenza e rilevazione dei fabbisogni di personale, mi raccontò della sua esperienza.
C. non aveva idea di come e dove si fosse infettata, ma la malattia si era diffusa ai suoi familiari che la avevano superata bene, in particolare la nonna novantenne che, malgrado la positività al tampone, non accusò alcun sintomo. Diversamente C. passò due settimane di inferno, quasi sempre a letto con febbre alta. Raccontò la fatica di camminare per pochi metri per recarsi alla toilette, il fiatone e le gambe che cedevano quando arrivava ad aggrapparsi alla porta, la paura e il rischio di essere ricoverata. Guarita, continuava a tossire: le conseguenze della malattia in forma violenta non si superano facilmente.
Le nostre vite sono cambiate, insieme al nostro lavoro, al mondo intorno a noi. Noi stessi siamo cambiati e questa esperienza rimarrà nella storia. Solo non riesco a rispondere alle domande: come si potranno superare i danni economici e sociali? Saremo ancora protagonisti dei servizi per il tessuto produttivo, ora tanto cambiato e disorientato?