di Fabio Cinnadaio

Mi chiamo Fabio Cinnadaio e sono un laureato in sociologia ad indirizzo economico, organizzativo e del lavoro.

Ho un Master in Mangement del Welfare territoriale e mi occupo da anni di sociologia del territorio, dell’ ambiente, dello sviluppo localee pianificazione dei servizi sul territorio. Attualmente insegno in una scuola a Bologna, con problemi sociali di vario genere. Sempre indefinibili ed irrisolti che divengono fenomeni sociali di lungo corso.

Dalle scuole dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado avvertiamo ogni giorno e siamo in stretto contatto con fenomeni sociali che innescano problemi di ogni genere. Dall’organizzazione degli stessi Istituti scolastici, passando per le analisi del contesto, toccando la pianificazione, la programmazione, l’analisi del bisogni che mai viene presa in considerazione, fino ad arrivare alle fasi più propriamente operative.

In ogni Istituto scolastico ritrovi quasi o sempre gli stessi problemi. Con il Dirigente scolastico, con il mal funzionamento delle segreterie, con i conflitti e le gestione dei rapporti delle famiglie, dei genitori, dei colleghi, degli alunni e di tutti coloro che fanno parte a vario titolo della cosiddetta comunità educante.

Dei ragazzi? Hanno ogni esigenza, bisogno, interesse, paura, emozione, sentimenti che ogni scolare e discente vive. Dall’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado si mostrano problemi sociali che non trovano una certa rilevanza negli studi sociologici. Problemi di disagio giovanili, adolescenziali, di violenza tra coetanei, problemi di conflitto tra colleghi, tra colleghi e dirigenti e tra docenti e famiglie.

Problemi organizzativi e problemi di rete tra scuola, Enti locali e Comunità locale. Il sociologo in tutti questi casi potrebbe essere utile dinanzi a questi problemi sociali, relazionali, di contesto organizzativi, di analisi e di pianificazione del problema e del disagio, ma il campo è ancora una volta ristretto. Abbiamo ogni tanto uno sportello d’ascolto attivato dalla singola scuola con figure solo di psicologi, educatori e assistenti sociali.

Ogni tipo di problema, che sia di natura sociale è relegato sempre e solo agli psicologi in primis, assistenti sociali e educatori. Del sociologo e della sociologia stessa nemmeno l’ombra. Non si capiscono e non riesco a capire come mai questa tanta riluttanza verso la nostra figura e la nostra professione. Ogni volta che mi permetto di evidenziare il mio essere laureato in sociologia, dall’altra parte noto e trovo delle barriere insormontabili e soprattutto delle estraneità nei visi di chi mi ascolta.

Eppure, mi hanno insegnato che la stessa sociologia non generalizza, non porta con se i germi del pregiudizio, non crea divisioni, ma completa. Non è settoriale, ma abbraccia studi e teorie che vanno dal micro al macro di una relazione e di un qualsiasi fenomeno sociale che nasce nella stessa nostra società e via via si ramifica in tutti i suoi settori. La scuola è una, se non la prima, ad esserne investita.

Domande del tipo: Che cos’è la Sociologia? Cosa studia la Sociologia? Cosa significa essere sociologi? Cosa fa un sociologo? Chi è il sociologo? Ogni volta ci ritroviamo a rispondere a queste domande per far capire dettagliatamente cosa facciamo e perché lo facciamo, ma soprattutto quale sia la nostra identità; visto l’enorme tecnicismo e l’enorme praticità sociale che oggi investe le nostre vite quotidiane. Ad oggi blogger, influencer, video maker, sembrano essere delle vere e proprie eccellenze lavorative tra i più giovani e tra i cosiddetti nativi digitali. I sociologi invece? Potremmo rispondere che hanno il compito di studiare da vicino, non solo queste nuove figure, ma capire quale sia stata la reale trasformazione della società, perché è avvenuta? Cosa l’ha determinata?

Perché queste nuove figure riescono a far breccia tra i più giovani, tra gli studenti e tra i ragazzi in generale? Sarebbe interessante però che quella stessa Sociologia potesse entrare nella scuola, ma non dalla finestra o dagli scantinati più remoti, ma essere la vera protagonista per poter sedere tra i ragazzi delle varie scuole. Dialogare con loro, pianificare con loro, programmare con loro e perché no: progettare con loro. Cosa? Confronti, idee, pensieri, momenti, esperienze, storie di vita, disagi, frustrazioni, paure, emozioni, amori. Nulla di tutto questo.

Come mai? Perché? Interrogativi che ormai ci attanagliano da anni. Ormai nella scuola, salvo rare eccezioni, il sociologo non è conteggiato. La Sociologia non è mai menzionata, così come non viene sottolineato mai il suo ruolo, la sua figura, le sue mansioni e la sua operatività. Nemmeno per pura curiosità. La stessa disciplina e professione, potrebbe apportare notevoli contributi all’organizzazione della stessa scuola ed entrare nei tavoli tecnici per pianificare, programmare, monitorare e valutare.

Non a caso, il Ptof (Piano Triennale di Offerta Formativa) che viene redatto ogni tre anni dal Consiglio dei Docenti e approvato dal Consiglio d’Istituto, è un documento di estrema delicatezza ed importanza, che mira a perseguire, fini educativi e formativi di ogni singolo Istituto, siano esse umane, professionali, territoriali, sociali ed economiche. Esso mette in campo i vari attori, i quali si presenteranno sul palcoscenico di un istituto, tracciando la direzione da seguire e la meta da raggiungere, indagando e attuando: analisi del contesto e dei bisogni di un territorio, indicando strategie da seguire e quali modelli di organizzazione mettere in campo.  Applicando infine, monitoraggi e valutazioni, che rientrano a pieno nelle competenze dei sociologi e della Sociologia medesima. 

Persino problemi sociali, dinamiche e conflitti di gruppo, organizzative, di disagio giovanile, familiare e di eventuali devianze rientrano nel campo sociologico, ma ricondotte alla sola Psicologia o al massimo alla Pedagogia e alla Scienza dell’educazione. Così come sono limitate le scuole nelle quali è possibile insegnare la nostra disciplina. Salvo il Liceo delle Scienze Umane e l’Istituto Agrario, nella quale si insegna Sociologia urbana e rurale, per il resto non vediamo riconosciuta la nostra disciplina né come insegnanti né come professionisti.

Le sole classi di concorso, valide per l’insegnamento nelle scuole secondarie di secondo grado: la A18 e la A65 sono davvero poca cosa, per i tanti che aspirano a diventare insegnanti, vista anche l’alta concorrenza e coabitazione alle stesse classi di concorso con altri laureati in: Psicologia, Filosofia, Pedagogia, Scienze dell’educazione, Scienze della comunicazione.

A questo si aggiunge anche una notevole riduzione delle ore, rispetto agli insegnamenti di altre discipline. Poche scuole e poche ore per una disciplina così completa, arguta e innovativa, che è abituata a trattare di tematiche sociali delicate e quotidiane per la crescita ed il miglioramento dei propri cittadini e della propria società. Nemmeno i nuovi indirizzi: Economico-Sociale, istituzionalizzati con la riforma del 2010, hanno dato la giusta vitalità ed il necessario apporto alla disciplina, rimanendo non solo tutto o quasi invariato, ma riducendo ancora di più il ruolo della stessa Sociologia.

Spostando lo sguardo alle scuole di grado inferiori, Infanzia, Primaria e Secondaria di Primo grado, la situazione diventa ancora più critica. Infatti, in nessun caso è richiesta la laurea in Sociologia. Nell’Infanzia e nella Primaria la fa da padrone il solo Diploma Magistrale, vista anche la sentenza del Consiglio di Stato, che ha dichiarato tale diploma abilitante a tutti gli effetti per l’insegnamento, dandole un notevole prestigio ed importanza. Così come negli ultimi anni si è aggiunta la sola laurea in Scienze della Formazione Primaria.  Mentre nella Scuola Secondaria di Primo Grado non è previsto nessun tipo di inserimento specifico per le discipline sociologiche né al pari  delle altre lauree.

Mentre negli Enti Locali e per alcuni concorsi, tale laurea è spesse volte equipollente a Scienze Politiche ed Economia, nella scuola questa equipollenza viene meno. Quest’ultima avrebbe dato maggiori possibilità di inserimento alla disciplina e maggiori inserimenti ai sociologi stessi, anche verso altre classi di concorso.

Nonostante le limitate possibilità della disciplina, gli aspiranti sociologi – insegnanti, sono chiamati allo stesso modo a compiere numerosi sacrifici per accedere nella scuola. Infatti, non solo dovranno superare un concorso pubblico, ma essere in possesso dei 24 CFU previsti dal D. Lgs 59/2017, in metodologia e tecnologie didattiche, antropologica culturale, psicologia dell’ apprendimento, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione. Tali crediti vengono acquisiti presso un’Università pubblica, privata o qualsiasi Ente Afam (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica), anche in modalità telematica.  Qualora queste competenze e discipline fossero già acquisite nei percorsi di studi, gli aspiranti sociologi – insegnanti dovranno farsi certificare dalle proprie Università gli esami attraverso il rilascio della Certificazione di conformità degli obiettivi formativi e contenuti didattici” (decreto 616/17).

Perché la sociologia non deve essere presente nelle scuole?
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