di Everardo Minardi
Da pochi giorni, il primo marzo per l’esattezza, è ricorso il centenario della nascita di Achille Ardigò. Lo ricordiamo con un libro pubblicato dalla casa editrice Homeless Book dal titolo Professare la Sociologia. Una conversazione con Achille Ardigò. Personalmente, proprio in ragione di un cammino che si è compiuto avendo come maestro indiscusso il Prof. Achille Ardigò mi sono sentito in dovere di interrogarmi su alcune pagine ritrovate nelle quali le parole, le opinioni e le valutazioni espresse dal sociologo e politico friulano esprimono in una maniera trasparente le ragioni e i percorsi di un cammino che – anche per lui – non è stato facile, ma attraverso il quale si colgono le ragioni e i fattori che hanno fatto di Ardigò uno dei punti riferimento essenziali non solo per la sociologia italiana.
Ciò che traspare dalle parole di A. Ardigò non è la recezione acritica delle posizioni espresse dalla sociologia ormai definita come scienza sociale, ma la reazione critica che egli manifesta anche a partire dalle conoscenze che era andato sviluppando, proprio a partire dalla matrice riflessiva che stava all’origine della sua esperienza di persona impegnata in istituzioni ed organizzazioni post belliche; poi successivamente di docente e ricercatore nella Alma Mater bolognese. Ciò che in un certo senso sorprende nella esperienza (anche accademica) di Achille Ardigò è la distanza non casuale della sua riflessione – e quindi dei suoi lavori – dalle matrici proprie della filosofia dominante nelle Scuole universitarie italiane, e il suo orientamento a ricercare nella sociologia le ragioni volte ad acquisire chiavi di lettura più comprensive di una società in progressiva ricostruzione e coinvolta in un processo di sviluppo che non andava visto solo come esito della crescita economica.
L’adozione di una visione sempre ambivalente, mai deterministica, dei processi di modernizzazione delle strutture sociali e di implementazione e di arricchimento dei modelli di vita delle persone e delle comunità, (non di per sé subordinate ai processi che porteranno poi alla società dei consumi), delinea un profilo di sociologo, che non si ridurrà a lettore acritico dei processi sistemico-funzionali della modernizzazione industriale, ma manterrà aperti gli interrogativi su ciò che accade all’interno della vita sociale, in quella sfera di relazioni che lo porterà poi a recepire la lezione husserliana dei lebenswelt, dei mondi della vita, da non ricondurre ai processi regolativi dei sistemi sociali.
Le parole di Ardigò, che abbiamo ritenuto doveroso pubblicare, consentono al lettore di riflettere – e ciò è di particolare importanza per l’operatore sociologico così come per l’accademico – su una sociologia che deve ripensare se stessa e riconfigurarsi come scienza del sociale a fronte del “oltre il post moderno”. Il cambio di prospettiva, ormai ingenerata da una profonda e inarrestabile trasformazione sociale, rende necessaria – e non più procrastinabile – una comprensione della vita sociale “attraverso l’intenzionalità soggettiva”; anzi, diventa prioritario leggere i processi sociali come una transizione continua “dal soggettivo all’intersoggettivo al societario”. Per dirlo in altri termini, la società va letta attraverso l’analisi e la comprensione dei passaggi continui dal micro al macro e ritorno. Perciò la società non è mai uguale a se stessa, come lo sono invece i sistemi sociali, che proprio nel post-moderno sembrano aver guadagnato la loro più forte esplicitazione sociale. Perciò, “uscire dal post-moderno” si presenta come una transizione possibile e necessaria anche per la sociologia, come lo è stata e lo è per la vita sociale. Grazie, Prof. Ardigò!
Su Achille Ardigò si rinvia alle note biografiche curate dal Prof. Roberto Cipriani, clicca qui