a cura della Redazione
Un’azienda agricola può essere utilizzata non solo per produrre dei beni alimentari. In una prospettiva olistica, l’attività produttiva può coniugarsi anche con servizi volti a migliorare la qualità della vita delle persone che animano l’azienda; in particolare, dei soggetti più deboli; delle fasce più a rischio di marginalizzazione; ma anche della comunità che fa da contesto socio-culturale all’azienda stessa. Ecco allora che, a pieno titolo, possiamo parlare di agricoltura sociale, ossia di una pratica volta al welfare e al wellbeing delle persone e che utilizza come strumenti privilegiati, per raggiungere i suoi obiettivi di interesse personale e collettivo, la relazionalità agevolante l’integrazione, la partecipazione e la formazione. L’interesse di massima dell’agricoltura sociale è il sostegno al conseguimento della piena dignità di cittadino.
Molto praticata in Europa, è stata legittimata anche in Italia con un riferimento normativo di pochi anni fa: la Legge 18 agosto 2015, n. 141 recante “Disposizioni in materia di agricoltura sociale” (per chi fosse interessato, si rinvia alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie Generale n. 208 del 8-9-2015). Le tante esperienze finora in piedi, hanno dimostrato l’efficienza di questa pratica che fa sistema e favorisce il reinserimento terapeutico di molti soggetti coinvolti. A parte l’aspetto precipuamente psicologico ed esclusivamente focalizzato sul singolo, in termini sociologici – e ancora più specificatamente sociologico-clinici – l’aspetto ‘terapeutico’ consiste nella riabilitazione sociale dei soggetti più deboli e nel potenziamento delle abilità socializzanti del cittadino in generale.
Ma, come dicevamo, l’agricoltura sociale non si esaurisce in attività di carattere sociale e formativo; contempla anche quelle di natura economica indispensabili ad un piena integrazione e/o reintegrazione dei soggetti coinvolti. L’acquisizione di nuove capacità operative da parte del singolo – acquisizione che si accompagna all’emergere e al rafforzarsi di un sentimento di utilità e maggiore considerazione di sé stessi – viene indirizzata verso la strutturazione di una proficua ed economicamente vantaggiosa collaborazione i settori primario e terziario.
Tra le diverse configurazioni finora sperimentate e possibili anche in Italia – che esprimono particolari e contestualizzate modalità operative, agite dall’organizzazione che viene progettata e creata, ed oggetto di costante ‘contrattazione/riformulazione’ – le cd. fattorie sociali rappresentano un meraviglioso esempio grazie al quale l’attività produttiva di beni, di allevamento e/o trasformativa alimentare integra anche dei servizi culturali, formativi ed educativi, a vantaggio di soggetti deboli e di aree territoriali ad elevata presenza di fragilità e/o economicamente depresse. Ecco perché, quando parliamo di agricoltura sociale, parliamo di un’attività multifunzionale il cui valore terapeutico è veicolato e rafforzato da un sostrato di convivialità e di pratica che trova nell’orticoltura e nel con-tatto con gli animali (si pensi all’ippoterapia e alla pet-therapy) le tipologie al momento più diffuse e di maggior successo. Il Piemonte è in prima linea nella promozione dell’agricoltura sociale sul territorio regionale (si pensi al progetto FAMI volto anche ad agevolare l’integrazione degli immigrati e ad eliminare ogni forma di sfruttamento), anche grazie ad iniziative come quella supportata dalla Cooperativa Sociale Linfa Solidale il cui Presidente è il sociologo Andrea Launo. Già da tempo la sua cooperativa, infatti, è impegnata nella definizione di un metodo e nell’individuazione di strumenti operativi originali in collaborazione con la Coldiretti e la Regione Piemonte. In bocca al lupo!