di Mirco Marchetti (*)

Ho sempre pensato che i gruppi e la loro gestione, ad esempio, siano materia soprattutto sociologica. Mi sono occupato e mi occupo anche di gruppi (gruppi di lavoro e gruppi di sensibilizzazione).

Devo aggiungere che nei primi approcci mi sono riferito a due psicologi, Kurt Lewin e Moreno. Il primo per le dinamiche di gruppo, il secondo per i principi di piacere-dispiacere.

Negli anni ho potuto constatare che il piccolo gruppo (12-15 persone) rappresenta la massima fonte orientata al cambiamento ed il cambiamento, in questa accezione, è la maggior fonte che dà accesso alla conoscenza: “Se vuoi realmente conoscere qualcosa, prova a cambiarla”.

Diciamo che l’approccio con cui mi sono indirizzato al gruppo è un approccio di tipo sistemico e mi occorre aggiungere che anche l’individuo, in base a questo approccio, è da considerarsi una sorta di “assemblea permanente”, nel segno anche di una sua personale e specifica pluriappartenenza.

In genere ogni individuo appartiene a diversi gruppi fondati su apporti valoriali specifici: gruppo famiglia, gruppo religioso, gruppo politico, gruppo di amici, gruppo di pari…e via dicendo. A volte può capitare che lo stesso singolo individuo viva dissonanze valoriali in contrasto tra loro; ad esempio, questo può capitare nel momento in cui l’individuo trova una discordanza tra i valori fondanti del suo credo religioso con i valori cui si riferisce il suo credo politico, giusto per fare un esempio tra i tanti.

Quindi, l’individuo stesso a volte si trova impegnato a dirimere certe controversie interne a sé stesso ed inerenti alla propria pluriappartenenza. “Non so mai esattamente cosa ho detto finché non ho sentito la risposta a ciò che ho detto”, affermava Lewin al fine di rimarcare l’importanza di una alterità interlocutoria, propellente ed attivatrice di locomozioni indirizzate ad un reciproco cambiamento riadattante.

In una logica di gruppo, all’origine della sua costituzione e dopo una prima fase di annusamento reciproco condizionato da stereotipi, segue una fase “calda”, fase durante la quale i partecipanti del gruppo iniziano a negoziare su una trattazione valoriale e di senso indirizzandosi verso un vero e proprio cambiamento: ognuno impara qualcosa di sé riferita al gruppo e, quindi, ad ogni componente che, di conseguenza ed all’interno di quello specifico gruppo, assume una sua specifica posizione.

Il gruppo cambia e di conseguenza cambiano gli atteggiamenti e le posizioni  di ogni singolo componente tanto da considerare il gruppo come un organismo vivente che, dopo una iniziale fase di gestazione, cambia; anzi esso cresce e matura lungo una dinamica che parte dal presupposto che ogni gruppo non è la semplice somma dei suoi componenti, quanto la moltiplicazione esponenziale degli stessi.

Detto questo, aggiungo che, mentre i gruppi di lavoro sono orientati all’obiettivo, i gruppi di sensibilizzazione sono orientati alle relazioni ed al cambiamento.

In qualità di sociologo, ovviamente non mi occupo di gruppi terapeutici, non ne ho le competenze; ma se parlo di gruppi di sensibilizzazione, mi riferisco a movimenti dovuti a certi riadattamenti formali nel momento in cui, all’interno di un gruppo e seguendo un certo dinamismo specifico di quel gruppo, io sono costretto ad una ridefinizione di questi processi in funzione di quel gruppo.

Il mio compito, semmai, sarà quello di evidenziare, nel singolo, la reazione avuta, “qui” ed “ora” nel momento in cui veniva da altri sollecitato in qualche modo e, se fosse il caso, di mostrare le resistenze ai cambiamenti.

I gruppi di lavoro possono essere indirizzati, invece, alle aziende, alle imprese; in definitiva a coloro che, ad esempio, nel lavoro di squadra o di équipe, cercano di ottimizzare le prestazioni anche alla ricerca di un clima ottimale o di un miglior rapporto con i colleghi o con la leadership.

Data anche la sempre più estrema parcellizzazione del lavoro, oggi in molti luoghi si impone una logica multidisciplinare ed in base a questo approccio, il gruppo diviene un contesto di formazione continua in cui vengono acquisite competenze volte ad imparare ad imparare.

Oltre a questo, si impara a svolgere un lavoro di squadra dietro la consapevolezza che insieme si può essere una risorsa, spendibile nel momento in cui, dove io manco tu eccelli, e dove manchi tu posso essere io ad eccellere; seguendo questo input il lavoro di squadra assume un senso armonico volto ad ottimizzare anche il rendimento lavorativo oltre a creare un buon clima di collaborazione.  

A mio parere, quindi, la sociologia dovrebbe anche indirizzarsi verso una misurazione del cambiamento.

In pratica, quando si cambia vi è una trasformazione da uno stato ad un altro e, per essere dotato di una precisa scientificità, occorre che il cambiamento sia misurabile, confutabile e replicabile da terzi. L’acqua, ad esempio, se stimolata da una fonte di calore, passa da uno stato liquido ad uno gassoso; tale passaggio è misurabile, allo stesso modo e per un indirizzo clinico, come qui proposto: un cambiamento, individuale, all’interno di un gruppo, passando da uno stato di mal-essere ad uno di ben-essere, o da uno stato di dis-agio ad uno di maggior agio. Tutto ciò deve essere misurabile in qualche modo.

Il gruppo non può avere, quindi, una esclusività psicologica, in quanto la sociologia avrebbe presupposti ed interessi a riguardo e di grande pertinenza. Il sociologo clinico può, anche a livello di consulenza e adoperando gli strumenti di gruppo, indirizzare e veicolare le équipe, le squadre, i gruppi di lavoro… verso una più puntuale organizzazione del lavoro stesso, con l’esito di ottenere un clima migliore e una migliore collaborazione.

Nei gruppi di sensibilizzazione, invece, il compito del sociologo dovrebbe essere volto al facilitare la visione di certe dinamiche, inter-individuali ed intra-individuali, in modo che ogni individuo possa compiere una sua riflessione sul fatto che, in quel momento ed a quella specifica sollecitazione, ha risposto in quel certo modo così da poter percepire ed elaborare quel cambiamento ottenuto dietro un certo stimolo.

Il gruppo, quindi, diviene uno strumento metodologico e di formazione di cui il sociologo dovrebbe/potrebbe servirsi sia per aiutare ogni contesto in cui è previsto un lavoro di squadra al fine di ottimizzare il lavoro stesso; e ciò anche in contesti diversi, come le scuole di ogni ordine o grado in cui un insegnante lavora con e per un “gruppo classe”.

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( *) Sociologo relazionale – Etnometodologo, Formatore, Consulente, Educatore professionale ed Animatore socio culturale

IL LAVORO DEL SOCIOLOGO SUI GRUPPI, NON TERAPEUTICI, MA DI SENSIBILIZZAZIONE
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