di Emiliano Bruner
Il folle e il genio, dipende da che parte cade la moneta. Vedono (o credono di vedere) relazioni che gli altri non possono vedere. Si fanno domande che gli altri non possono capire. Il cammino è comunque solitario, satelliti di quella periferia della cognizione dove la distanza dalle medie genera incompatibilità.
Forse la differenza tra genio e follia sta solo nel risultato: nel primo caso si raggiunge, nel secondo no. Ma questo, gli altri, non lo sapranno mai. In realtà la differenza tra genio e follia non la fa il genio o il folle, la fa la gente, la fanno gli altri. Come la bellezza, genio e follia stanno negli occhi di chi guarda. Forse non sappiamo quali siano le vere differenze tra il folle e il genio, ma sappiamo invece con certezza quello che spesso condividono: isolamento, e spesso condanna. La sentenza tra follia e genialità dipende dal giudizio della società, ed è quindi sensibile alle debolezze e alle incoerenze della tribù.
Troppi folli sono diventati geni decenni o secoli dopo la loro persecuzione da parte di una società che da sempre ammette solo deviazioni minime, e giudica dal basso della sua condizione tribale e scimmiesca qualsiasi allontanamento che metta in dubbio le ragioni del branco. Il genio diventa folle quando le sue ragioni non sono più compatibili con i bisogni del clan. Il folle diventa genio quando il clan ne riconosce una utilità per se stesso. In entrambi i casi, è sempre e comunque la società che stipula il confine tra genio e follia, ma che in entrambi i casi, comunque, prende le distanze.
Una società che cambia i suoi parametri e i suoi bisogni, senza vincolo di coerenza o di onestà, folle oggi, genio domani. In entrambi i casi, aspettando come tutti l’inevitabile oblio e oscillando tra gloria ed esilio, il genio e il folle continueranno il loro cammino solitario, con la sola compagnia della loro propria ombra a ricordargli continuamente la colpa di un peccato altrui.
….uscimmo a riveder le stelle….
Il folle di Antonio Machado, che fugge dalla città come anima errante e rotta, paga un peccato che non è suo, ovvero la sua sensatezza, la terribile lucidità del pazzo. La diversità di un individuo, culturale o cognitiva, genera distanza dalla massa, quella stessa massa che stabilisce, col peso statistico della media, le regole e i limiti del gruppo. Chi è diverso finisce in una orbita distante dalla moltitudine, satellite, lontano dalla nube della normalità, intesa non come regola giusta, ma semplicemente come regola più frequente. In un convento, sarà normale essere frate, e su un galeone sarà normale essere pirata.
La normalità è un concetto statistico, non morale. L’individuo che si allontana da questa normalità, il satellite, inevitabilmente soffrirà un senso di abbandono da parte della comunità, di incomprensione e di isolamento. Prendere coscienza di questa lontananza è probabilmente la necessità preliminare a qualsiasi tipo di strategia utile per cercare di portare poi avanti una vita decente.
Una volta fatto questo, si può decidere di cercare di cambiare la propria posizione (per esempio, avvicinandosi alla inconsapevole leggerezza della media), di rimanere nella propria posizione ma fingerne un’altra (studiando le regole della normalità per poi simularle, come un antropologo su Marte) o di essere quel che sei e cercare di approfittare di quelle tue capacità individuali, minimizzando i danni dovuti alle varie incompatibilità che possono nascere dalla distanza col gruppo.
Chiaramente questo richiede un certo cambiamento nella relazione con gli altri, le cui azioni vanno poi interpretate secondo gli schemi della media, e non secondo gli schemi tuoi.
Capire i limiti del gruppo sicuramente ti aiuta a rivalutare azioni e conseguenze, interpretando comportamenti e posizioni non in base alle tue aspettative, ma alle possibilità altrui. Sicuramente bisognerà stabilire soglie di accettazione, sotto le quali è meglio non interagire per evitare problemi. Queste soglie sono filtri potenti per decidere una strategia di vita che possa minimizzare i contrasti e i conflitti, e anche per riconfigurare le emozioni. All’inizio bisognerà fare un lavoro su se stessi, attivo, ma poi col tempo la posizione coscientemente distante permetterà una visione spontanea e naturale delle differenze. E, come per magia, la rabbia o il rancore si trasformeranno in indifferenza. O in compassione.
EMILIANO BRUNER
Emiliano Bruner ha conseguito una laurea in Biologia e un dottorato in Biologia animale presso l’Università La Sapienza di Roma. Dal 2007 è ricercatore responsabile del Gruppo in Paleoneurobiologia presso il Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (Centro nazionale per la ricerca sull’evoluzione umana) di Burgos, Spagna. Dopo essersi formato in zoologia ed ecologia, ha iniziato a lavorare con primati, nell’ambito della museologia, e infine in ecologia umana e paleoantropologia. Da allora, si è occupato principalmente di anatomia e morfologia del cranio, del cervello e dei vasi, nelle attuali popolazioni umane, nelle specie estinte e in altri primati. Utilizza tecniche di anatomia digitale e modelli spaziali, nella neuroanatomia evolutiva e nella craniologia funzionale. Si occupa anche di archeologia cognitiva, studiando in particolare l’evoluzione della corteccia parietale e le sue funzioni visuo-spaziali. Pubblica e coordina diversi blog scientifici e scrive per le riviste a carattere divulgativo Investigación y Ciencia e Jot Down. Il suo unico blog in italiano è La graticola di San Lorenzo (https://lagraticoladisanlorenzo.wordpress.com): antropologia, evoluzione, società e neuroscienze.
Ci auguriamo che la sua partecipazione al dibattito del nostro Laboratorio, e la curiosità dei nostri lettori, sia da ulteriore stimolo a far si che la sociologia si interroghi sugli importanti cambiamenti di paradigma in atto e sulle sfide applicative e cliniche che l’attendono.