di Everardo Minardi

In un periodo particolarmente drammatico come l’attuale, i sociologi sembrano non aver voce. Diagnosi, proposte, progetti vengono avanzati nelle sedi istituzionali, negli organi di informazioni, nei Social Media, da economisti, politologi, giuristi, ma l’attenzione dei sociologi, dentro e fuori delle sedi universitarie, nelle associazioni e nei gruppi professionali sembra indirizzata ad altre dimensioni della vita sociale, con una debole, quasi assente, incidenza sulla opinione pubblica. Perché?

La sociologia è la scienza sociale del presente, capace di leggere, classificare, tipologizzare, anche misurare, i fenomeni del presente. Anche partendo dalle azioni sociali degli individui, gruppi, istituzioni ed organizzazioni sociali. Ma come? Con paradigmi, le costruzioni concettuali, le rappresentazioni sociali che provengono dal passato. Certamente criticamente discusse ed adattate, ma sempre tali da dare acquisita l’idea che la società è quella della modernità ed oggi della post modernità. Ma è adeguato e corretto leggere e interpretare quanto avviene dinamicamente intorno a noi con una scienza che guarda al passato?

Il processo di transizione che stiamo faticosamente attraversando porta con sé inevitabilmente mutamenti strutturali nelle istituzioni e nei processi culturali, economici e sociali delle società più evolute come quelle europee. Spesso ci si trova di fronte a mutamenti sempre più difficili da leggere e interpretare da parte di un assetto delle scienze sociali che ha perseguito con determinazione la specializzazione e la segmentazione di teoria e di metodo come elemento distintivo, forse anche competitivo con le scienze fisiche naturali e le loro derivazioni tecnologiche.

Nell’ambito delle scienze sociali l’economia in modo particolare, anche per una più spiccata e specifica capacità applicativa, ha assunto progressivamente un ruolo dominante, capace di determinare da un lato giustificazioni interpretative rispetto al passato, dall’altro indicazioni predittive rispetto alle azioni da adottare nel futuro. Le connessioni debitamente curate dalle scuole e dai gruppi di interesse espressi dagli economisti sia “politici” che “aziendali” hanno accentuato e rafforzato la influenza che gli stessi sono stati in grado di costruire nel rapporto con gli imprenditori piccoli e grandi e con le istituzioni di governo dal livello territoriale a quello nazionale.

Rispetto a quanto ci è dato osservare proprio nell’area degli interessi e delle attività svolte dagli economisti, i sociologi, quasi rinunciando consapevolmente alla possibilità di una competizione con gli stessi, sembrano essersi concentrati – secondo alcuni “ritirati” – su aree e temi di interesse rispetto ai quali vengono elaborate diagnosi e valutazioni che enfatizzano la dimensione della soggettività, della sessualità, della multiculturalità, della costruzione sociale di regole, istituzioni e sistemi di relazioni sociali, ponendo in secondo piano i fenomeni conseguenti alla crescita della conflittualità, delle diseguaglianze sociali, della destrutturazione di sistemi funzionali, dal livello micro a quello macro, che accentuano e accelerano la transizione (crisi) delle strutture sociali. Non sembra difficile nel contesto attuale rilevare la difficoltà per i sociologi di misurarsi con il cambio strutturale della società contemporanea, dal momento che si manifestano, con le dovute eccezioni, non da tutti riconosciute, le incertezze a cogliere ed interpretare le manifestazioni innovative del cambiamento.

Elementi di innovazione in campo economico e sociale quali la formazione del polo della economia civile (a fianco ed in forte distinzione rispetto alla economia di capitale ed alla economia pubblica), la sharing economy (dagli strumenti di vita quotidiana ai servizi alla persona ed alla comunità), le inedite forme sociali della reciprocità e della mutualità, la costruzione di reti inattese tra gruppi sociali, la riconsiderazione dei fattori quali l’ambiente naturale, il suolo, il patrimonio culturale come “beni comuni”: sono alcune delle manifestazioni di cambiamento della vita sociale, rispetto ai quali sembra svilupparsi una riflessione ed una elaborazione più nell’ambito della economia e della comunicazione, che nel contesto delle sedi di riflessione e di ricerca sociologica.

Il riferimento a maestri della sociologia contemporanea come Z. Bauman e U. Beck diventa inevitabile, anche se quanto proposto da tali autori non sembra raccogliere tutte le adesioni; tali autori, sebbene a volta molti isolati, rispetto all’insieme della comunità scientifica della sociologia, hanno riportato l’attenzione su valori, memoria, classi sociali, istituzioni, utopie, che si presentano come chiavi interpretative capaci di rendere osservabili dimensioni della vita sociale, assorbite dalle dinamiche di un consumismo e di un produttivismo fine a stesso. Sembra però ancora assente la prospettiva di analisi e di interpretazione della complessità dei mutamenti in atto, offerta nel passato, nel cuore di una società industriale che si avviava alla post-modernità, dall’approccio della immaginazione sociologica, che nelle esplicite intenzioni di C. Wright Mills, doveva vincere e superare le logiche di un funzionalismo fine a se stesso.

Nella situazione attuale delle scienze sociali e della sociologia in particolare non sembrano avvertirsi i segnali di uno scompaginamento radicale di paradigmi e metodi, come quello avviato da Wright Mills. Sembrano essersi rafforzati gli approcci ai sistemi funzionalisti che hanno portato il condizionamento di tali modelli anche nell’ambito della analisi e della comprensione delle componenti relazionali di una società che non rinuncia all’individualismo più radicale. Perché si è determinata una situazione di difficoltà rilevanti, da parte della sociologia, di misurarsi con i mutamenti di struttura e di cultura in atto? Occorre chiedersi in particolare quali fattori abbiano in particolare spinto la sociologia, attraverso i suoi attori, in specie accademici, ad un ripiegamento su se stessa, con i rischi conseguenti di una pericolosa implosione epistemologica e quindi teorica, con effetti depressivi e di disorientamento sulle attività di ricerca applicata.

Per certi versi il tema del futuro per le scienze sociali sembra essere stato espresso in maniera più esplicita e convincente da un antropologo, Marc Augè, che interrogandosi su “che fine ha fatto il futuro”, ha consentito di mettere a fuoco un altro dei fattori della globalizzazione – il non tempo – che sta uccidendo le identità delle società e delle culture contemporanee.La sociologia nel lavoro di formazione e di ricerca dei sociologi contemporanei non si colloca nella prospettiva del futuro, sembra essere quasi dominata dalla logica e dalle rappresentazioni del “non tempo”, un tempo senza futuro; certamente i sociologi studiano la famiglia, le diseguaglianze, la crisi dei ceti medi, una sanità senza salute, un Welfare senza Wellbeing, nel contesto della transizione di struttura sociale, come l’attuale, ma sembra sempre più priva della proiezione sul futuro.

Il nostro interesse si indirizza, invece, sulla aspettativa che la sociologia (e il lavoro dei sociologi) riprenda il suo percorso innovativo, ragionando con paradigmi adeguati, incentrando l’attenzione su quanto si rifletterà soprattutto sulle giovani generazioni; il futuro può concretizzarsi anche e soprattutto in termini generazionali. E’ questo il motivo che ci spinge ad invitare sociologi, attivi nelle sedi accademiche della formazione e nelle sedi del Sociological Social Work, ad esplicitare le proprie riflessioni su questa prospettiva: il futuro in atto di società ormai strutturalmente cambiate rispetto a quanto ci avevano consegnato la modernizzazione industriale e post industriale. La sociologia può, in una certa misura, riscoprire la sua vocazione non volgendo lo sguardo alla modernità, ma piuttosto cercando di intuire e di “immaginare sociologicamente” quanto potrà produrre la post modernità, da cui stiamo uscendo.

Quando i sociologi non parlano di futuro…

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